Le due politiche che mancano per il rilancio del Real Estate italiano

Come rilanciare il Real Estate italiano? Come aggiornare un mercato che si è impelagato in una attesa antiquata e provinciale di strumenti, senza attivarsi per chiedere in condizioni di impellenza strumenti normativi che facilitassero innovazione?

La risposta è banale ma decisiva: serve la politica. Anzi due politiche. Una, di settore, che in modo coordinato e coerente chieda una normativa che faciliti e imponga la modernizzazione e la concorrenza. E un’altra, quella legislativa ed esecutiva nazionale, che non si fermi alle intenzioni, ma acceleri sulla strutturazione di nuove e sicure regole di mercato.

Le nostre posizioni e le nostre proposte sono note da tempo. Abbiamo denunciato più volte – anche con esposti alle Autorità competenti – posizioni di rendita di cartelli che di volta in volta si costituiscono sul mercato. Osserviamo che i Fondi e le loro SGR tolgono attività agli operatori di Servizi, senza garantire valorizzazioni e sviluppo. Proponiamo il confronto – ancora disatteso – su un “Manifesto dei Servizi” teso a razionalizzare e modernizzare il mercato. Un “Manifesto” che va oltre e più addentro alle questioni, di quanto non faccia la nuova normativa sugli appalti.

Come IFMA, abbiamo lanciato l’idea di un Facility Management che abolisca compartimentazioni tra domanda e offerta di FM. E come Osservatorio Risorsa Patrimonio-Italia, abbiamo cercato di ragionare di Real Estate allargando il concetto al Territorio nel suo complesso. La cronaca racconta che Cassa Depositi e Prestiti, che doveva favorire una nuova mentalità d’impresa nel Real Estate con un ruolo strategico nazionale, invece non valorizza Know-how e professionalità innovative delle imprese.

Come pure sono evidenti i limiti del metodo-INVIMIT che spacchetta in property e facility appalti destinati allo stesso cespite (con l’aggravante che se si vince uno dei due appalti non si può partecipare all’altro) e con una moltiplicazione dei costi a discapito delle comunità destinatarie del servizio. Tutti, poi, dovremmo interrogarci sul ruolo di CONSIP che non si è adeguata alle esigenze reali delle Amministrazioni Pubbliche, “ascoltando” poco, e dividendo gli appalti con una politica di redistribuzione ai “soliti noti”, invece di creare i presupposti per una pianificazione della qualità dei servizi, e di una nuova visione delle comunità complesse, che ad esse sono destinati.  

Registriamo infine che gli operatori nel loro insieme non hanno proposte di prodotti innovativi, pure in presenza delle opportunità offerte dall’articolo 24 della Legge Sblocca Italia. E su questo fronte si sono persi più di due anni, senza stringere l’Esecutivo a deliberare norme attuative coerenti con le esigenze del mercato. Colpa anche di Assoimmobiliare che non rappresenta più gli interessi di tutto il mercato.

Dunque, che cosa si può e si deve fare per ripartire davvero?

Noi crediamo che un’idea moderna di sviluppo, passi per azioni che diano una nuova prospettiva al concetto di “fare le città”. Una città moderna e funzionale oltre che funzionante, si vede dai servizi che offre e dalla loro qualità; si evidenzia dalla capacità di modellarsi sulle esigenze dei cittadini, migliorando qualità, efficienza, bellezza, manutenzione, civiltà dell’abitare. E’ questo il quadro di un grande investimento che una Nazione moderna può fare, moltiplicando per mille i processi di riqualificazione delle città e dei loro territori, attraverso quattro processi sinergici: riconoscere, riprogettare, rifunzionalizzare e reinvestire.

Riconoscere per configurare “città reali” e sollecitare nuovi livelli di governo delle stesse. Riprogettare per sfidare la politica a una logica di coerenza tra i risultati desiderati e le azioni da mettere in campo, attraverso metodologie e standard europei non più rinunciabili. Rifunzionalizzare per riconnettere uno spazio urbano all’ambiente circostante e con una visione futura del vivere collettivo. Reinvestire per attivare una sfida urbanistica e finanziaria che modernizzi i servizi, progetti l’inclusione sociale, rafforzi la capacità di indirizzare e decidere insieme.

Il rilancio dell’economia passa per i beni di interesse collettivo, legati all’unità organizzativa dello sviluppo chiamata Città, dove è possibile attrarre imprese e capitali privati, attraverso un sistema, moderno, di norme e incentivi. Per far ciò bisogna creare subito condizioni e tutele normative per indurre amministratori pubblici e imprese private ad un’alleanza strategica di co-progettazione di questa idea di città/territorio, grazie alle opportunità delineate dall’articolo 24 del decreto legge n. 133 del 2014, “Sblocca Italia”.

Le città possono e devono diventare così “laboratori di civiltà” in grado di offrire servizi a popolazioni sempre più complesse che vivono anche, in maniera pressante, divari generazionali che creano l’impossibilità di “dialogo” tra bisogni troppo differenti. All’interno di questi laboratori sociali si devono perciò immaginare e creare domande per nuovi bisogni.

Sono possibili infiniti strumenti di rigenerazione urbana. A partire da modelli come le “Insule”, implementati da Romeo Gestioni, ma integrata con servizi di Facility Management. L’ambito di applicazione di simili modelli è vastissimo e si presta a declinazioni specialistiche in funzione anche delle natura e delle vocazioni di ogni singolo agglomerato urbano, non potendo fare a Napoli, per esempio, quel che si sceglie di fare a Bologna o Milano o Torino e viceversa. Ma il metodo deve essere lo stesso. Con standard qualitativi e con responsabilità di risultato omogenei ovunque.

Partendo da questo assunto, gli ambiti di riqualificazione possono interessare macro-contesti, per esempio quartieri del centro e delle periferie, i porti (si pensi allo scempio del tempo perso a Napoli per quella che potrebbe essere la prima industria della città in sinergia con il turismo. Basti pensare alla ricchezza che si disperde per il sol fatto di non gestire con efficienza il flusso dei crocieristi che per il 2017 prevede un calo del 40 per cento dei flussi con 160 approdi prenotati in meno rispetto al 2016) – l’energia e l’illuminazione, la riqualificazione e rigenerazione senza consumo di suolo…, per arrivare ai micro-contesti come il controllo di coperture o della sicurezza con droni; passando alla gestione del trasporto degli anziani e/o dei bambini; per finire addirittura all’asilo di condominio o di quartiere, o a qualunque altra operazione che si possa avvantaggiare, tramite una nuova concezione del Facility Management in funzione pubblico/privata, di esenzioni fiscali o vantaggi tributari. Perché tutti questi processi possono essere sostanzialmente autosostenibili, anche grazie alla lotta all’elusione fiscale che è intrinseca ai processi di regolarizzazione e riqualificazione del territorio.

E’ un disegno ardito? Di più, rivoluzionario. Soprattutto nel quadro politico che ha prodotto il demagogismo di protesta che oggi governa importanti contesti urbani e che non ha alcuna consapevolezza invece della complessità e delle necessità che si hanno davanti. Per una volta dunque – e incredibilmente – si possono invertire le parti, e il nostro comparto può indicare all’Esecutivo e ai governi territoriali una visione strategico-sociale ed economica del Real Estate su cui investire.

Qual è dunque lo schema operativo nuovo?

– Frammentazione di macro-comunità urbane ingovernabili, in micro-comunità partecipi e consapevoli – sulla falsariga del Modello Insula – che vogliano, e sappiano, rispondere a griglie di bisogni integrati “su misura” delle stesse comunità.

Solo così si potranno creare modelli “cuciti addosso” per la gestione e messa a reddito di specifici territori. Si può dimostrare infatti che da una griglia “stratigrafica” di parametri (densità abitativa, stati reddituali, “produzione tributaria”, attività professionali e commerciali; e poi condizioni di strade, sottoservizi, produzione e raccolta dei rifiuti, qualità energetica dei fabbricati, qualità e distribuzione dell’illuminazione pubblica, sicurezza complessiva del territorio; e ancora, verde pubblico, flussi di movimentazione pedonale e automobilistica… etc. etc.).

Sovrapposta a

1) analisi e interpretazione dei bisogni della comunità in oggetto
2) definizione dei requisiti del servizio che si andrà ad erogare
3) misurazione dei livelli di qualità
4) adeguato e  moderno sistema di controllo
5) professionale governo dei servizi stessi
6) valutazione delle reali capacità dei soggetti che si presentano sul mercato

Questa è la vera sfida. Ma chi è pronto a raccoglierla per davvero?

BACK