Sud, quattro domande al Ministro Padoan

Un giudizio su Napoli, ed il suo destino in Italia ed in Europa, richiesto al Ministro dell’Economia e delle Finanze. Articolo di Massimo Lo Cicero pubblicato sulla prima pagina de Il Mattino di Napoli, il 15 giugno 2015.

Pier Carlo Padoan affronta un gruppo di imprenditori, economisti e dirigenti politici nella sede del Banco di Napoli, la mattina di lunedì 15 giugno. Il tema, dopo le elezioni regionali e per il suo contenuto annunciato – Le politiche di investimento in Europa ed in Italia: le imprese, le banche e lo sviluppo del Mezzogiorno – si presenta molto impegnativo: perché non sempre il Ministro dell’Economia può partecipare ad un confronto con le classe dirigenti della Campania e perché, in questo momento di instabilità, tra segnali di crescita economica e riorganizzazione delle politiche meridionali, è molto utile che il Ministro dell’Economia possa e debba indicare le strategie e gli effetti possibili di queste due circostanze. Ma possa anche indicare gli strumenti necessari perché il Sud del paese possa risalire una china che è molto più ripida di quella del Nord dell’Italia.

E qui partiamo con la prima domanda al Ministro Padoan: in Campania, e nel Mezzogiorno di ponente, includendo anche la Calabria in questa configurazione territoriale, c’è una profonda caduta della reputazione locale, che non regge sia rispetto al Governo che ai protagonisti della così detta questione settentrionale. Spiegava ieri su queste pagine Vittorio del Tufo quanto “l’immagine di Napoli sia ormai compromessa.. venti anni di veti, liti, ritardi, polemiche, furori ideologici, condizionamenti ambientali, appetiti criminali e veleni di ogni tipo, di certo non aiutano”. Raccontando l’ennesimo rifiuto di una personalità nazionale, il Viceministro Carlo Calenda, ad assumere la carica di Commissario per il riordino dei progetti sull’area di Bagnoli, dopo il fallimento della Società di Trasformazione Urbana, che da oltre venti anni non è riuscita a creare almeno le premesse di una nuova articolazione dell’area di ponente nella metropoli Napoletana. Insomma, dove manca da decenni la spinta a nuovi progetti di espansione manca anche la tensione di risorse umane a trasferirsi in quella situazione. Proprio il contrario della bella epoque, quando imprenditori belgi, inglesi e francesi si trasferivano a Napoli, la più grande città del Mezzogiorno, per cogliere le opportunità della sua potenziale crescita economica. Perché la situazione di oggi è ribaltata ed il Sud non è più attraente, pur essendo una grande serbatoio demografico?

Generalizziamo il tema e poniamo una seconda domanda: la disoccupazione è ancora alta e la base industriale della Campania ha subito duri colpi. Perché c’è uno scarto così largo tra mercato del lavoro e sistema economico? Dentro questo divario c’è anche una contraddizione: nell’economia meridionale si possono vedere, grazie al ridimensionamento dell’euro rispetto al dollaro, segnali importanti e reattivi in almeno tre filiere imprenditoriali: Automotive, Avionica, Agroalimentari. L’euro debole allarga la forbice tra chi riesce a crescere e chi non ci riesce. Ma allora sarebbe necessario, per chiudere la divergenza tra le due Italie, e nello stesso Mezzogiorno, che si allarghi la base economica e si ridimensioni la disoccupazione. In Campania c’è il 10% della popolazione nazionale ma poco più del 6% del pil italiano. Come chiudere queste profonde divergenze nel tessuto economico?

Ed eccoci alla terza domanda. Napoli è ormai, e per fortuna, catalogata tra le grande aree metropolitane: è la terza d’Italia ed è la prima grande metropoli di fronte al Mediterraneo. Ma in questa circostanza, ancora una volta, appare una contraddizione, che il sindaco De Magistris, non recepisce. Una cosa sono le città ed altra cosa sono gli enti operativi che, parzialmente, si adoperano per governare alcuni processi urbani. Le città sono il simbolo del mercato e degli scambi: pubblico e privato agiscono meglio quando si intrecciano. Sono il vortice della crescita. Ma la città è una comunità di imprese, famiglie, organizzazioni not for profit, reti di collegamento e servizi pubblici. Mentre un Comune, e domani la Città Metropolitana, sono solo enti per definire e proporre soluzioni: certamente non sono solo gli enti pubblici a governare, in senso lato, le città, che definiscono nella loro promiscuità, tra privato e pubblico, la propria dinamica. Ritorna la memoriadell’impatto tra imprenditori – italiani od europei – e Napoli, nella bella epoque. Ma quale è il ruolo delle città e quale quello delle Regioni? E come si può trovare l’equilibrio tra mercato e pubblica amministrazione, tra Governo e comunità locali, quando si vuole crescere davvero per aumentare il benessere, grazie all’aumento di valore generato dalla crescita?

E siamo all’ultima domanda. Siamo partiti da Napoli e siamo passati al Mezzogiorno. Poi alla relazione tra territori ed entità, pubbliche o private che siano. Ma se ci aspettiamo  uno sviluppo europeo, che possa coinvolgere l’Italia e ridare un tono, economico e politico all’Europa, credo che il nostro Governo debba impegnarsi con più forza ed entusiasmo sui contenuti, e sulle possibilità, del piano Juncker. Questo piano, ci dice la Commissione Europea, avrà supporti adeguati di assistenza e strumenti finanziari; definirà investimenti come energia, trasporti ed infrastrutture, Ricerca & Sviluppo; rispetterà tre criteri fondamentali: la creazione di valore e progetti realizzabili in un triennio. Un ragionamento molto suplly side (dal lato dell’offerta). Ma quali saranno le componenti della domanda effettiva e le prospettive delle imprese, che vorranno capire anche come si chiuderà il circuito del reddito che garantirà la crescita? Questa domanda riguarda, insomma, come le imprese e le banche, e forse ed in parte anche i mercati finanziari, potranno e dovranno fare diventare le tecnologie – innovative e disponibili – servizi utili per le imprese e le famiglie entro il traguardo del 2020.

Massimo Lo Cicero

 

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